RW ante 2009: l’accertamento lascia o raddoppia?
Il tema del raddoppio dei termini di accertamento in relazione alla violazione degli obblighi di monitoraggio per le fattispecie ante 2009 si fa sempre più caldo, in attesa che la Cassazione dica la sua.
A far salire la temperatura contribuisce – in un senso contrario ai suoi stessi precedenti – la CTR Lombardia che con la Sentenza 6015/45/2016 sconfessa l’orientamento sino ad oggi prevalente (e a giudizio di chi scrive preferibile).
La questione.
La questione del raddoppio dei termini e della presunzione di evasione degli investimenti e delle attività finanziarie detenute nei paesi Black-List in presenza di violazione degli obblighi di monitoraggio (compilazione quadro RW) nasce con l’introduzione dell’art. 12 D.L. 78/2009.
Tale disposizione al comma 2, prevede che: “In deroga ad ogni vigente disposizione di legge, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministero delle finanze 4 maggio 1999, pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle Repubblica italiana del 23 novembre 2001, n. 273, senza tener conto delle limitazioni ivi previste, in violazione degli obblighi di dichiarazione di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 1999 n. 167, convertito dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, ai soli fini fiscali, si considerano costituite, salva prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione.”.
In forza di tale norma, in presenza di investimenti o attività finanziare detenute in paesi a fiscalità privilegiata, per cui il contribuente abbia omesso la compilazione del quadro RW, si presume – salvo prova contraria del contribuente – che le dotazioni di denaro che servirono per costituirli derivino da redditi sottratti a tassazione .
Accanto a tale previsione il successivo comma 2-bis del D.L. 78/2009 dispone che: “per l’accertamento basato sulla presunzione di cui al comma 2, i termini dell’articolo 42, primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 193, n. 600, e successive modificazioni, e all’articolo 57, primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, sono raddoppiati”.
Il punto dunque è: tale norma si applica solo alle fattispecie che si verificano dopo la sua entrata in vigore o ha effetto retroattivo e consente di risalire indietro nel tempo sanzionando infedeli dichiarazioni sino ad otto anni prima e omesse dichiarazioni fino a dieci anni prima, anche laddove tali violazioni si siano perfezionate prima del 2009, e quindi prima dell’entrata in vigore della norma?
La retroattività in ambito tributario
La questione della retroattività delle norme tributarie trova la sua fonte normativa nell’art. 3 della Legge 212/2000 “Statuto dei Diritti del Contribuente” che afferma:
“1. Salvo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono.
2. In ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti.
3. I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati.”
A fronte di tale norma – peraltro ampiamente sconfessata dal legislatore, nonostante, a giudizio di chi scrive, la stessa debba avere nella gerarchia delle fonti un rango sovraordinario rispetto alla legge ordinaria, essendo una normativa diretta ad attuare principi di rilevanza costituzionale – l’interpretazione giurisprudenziale si è però fatta sottile, giungendo ad affermare che solo le norme tributarie aventi natura sostanziale seguono il principio dell’irretroattività, mentre quelle meramente procedurali possono anche sopportare una interpretazione retroattiva.
Norma procedurale o sostanziale?
La questione è di stabilire allora che tipo di norma sia quella dell’art. 12: si tratta di una mera norma procedurale o una norma avente portata e contenuto sostanziale?
E’ questo il dilemma in cui interviene la Sentenza in commento, nella quale la commissione tributaria segue l’orientamento (sinora minoritario) che ritiene la norma di natura procedurale, suscettibile di applicazione retroattiva, in virtù di quell’inciso che la vuole applicata “In deroga ad ogni vigente disposizione di legge”
Tale tesi, a giudizio dello scrivente, non è in alcun modo condivisibile.
Come noto – e come più volte ricordato dalla Corte di Cassazione – l’ art. 3 della L. 212/2000 stabilisce che l’applicazione retroattiva delle leggi tributarie va esclusa, a meno che non sia la legge medesima a statuire il contrario.
La norma di cui all’art. 12 richiamato, a ben guardare, non contiene alcuna deroga a tale principio, né prevede la propria retroattività nel tempo a fattispecie formatesi prima dell’entrata in vigore.
La “deroga ad ogni vigente disposizione di legge” prevista dal comma 2 della citata disposizione, infatti, riguarda unicamente alla presunzione della provenienza evasiva delle somme ed al raddoppio della sanzione, ma non anche alla deroga del principio (di derivazione costituzionale) di irretroattività della norma più sfavorevole.
In relazione alla questione della irretroattività del citato articolo 12, occorre rammentare che la circolare 27/E dell’Agenzia delle Entrate, a pagina 32, afferma che “appare opportuno ribadire al riguardo come la natura procedimentale della disposizione contenuta nel citato art. 12, rende la stessa applicabile a tutte le annualità per le quali i termini per l’accertamento o per la contestazione delle violazioni in materia di monitoraggio fiscale non erano ancora decaduti al momento dell’entrata in vigore della L. n. 78 del 2009”.
Tale circolare è tuttavia stata sconfessata dalla Corte di Cassazione che con la sentenza n. 25722/2009 che ha fissato il principio dell’impossibilità di un’applicazione retroattiva della citata norma affermando che “in base all’art. 3 della L. n. 212 del 2000, il quale ha codificato nella materia fiscale il principio generale di irretroattività stabilito dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, va esclusa l’applicazione retroattiva delle medesime “salvo che questa sia espressamente prevista”.
Occorre una previsione espressa, dunque, che, nel caso dell’art. 12, come sopra precisato, non sussiste.
Nello stesso senso anche la sentenza n. 11141/2011 la quale ha affermato che “secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, in tema di efficacia nel tempo delle norme tributarie, in base alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, che ha codificato, in materia fiscale, il principio della irretroattività delle leggi stabilito dall’art. 1 dis. Ge., va esclusa l’applicazione retroattiva delle medesime salvo che questa sia espressamente prevista”.
In favore della natura sostanziale della norma depone poi un ulteriore elemento.
Come osservato dalla giurisprudenza, infatti, il contribuente non può essere retroattivamente richiesto di precostituire prove circa l’origine di determinate somme e/o investimenti, se al momento in cui li ha costituiti tale previsione non era contemplata.
Tale circostanza porta a ritenere che l’effetto della norma non sia meramente “procedimentale”, ma abbia un carattere anche sostanziale, che, in quanto tale, non può essere applicato retroattivamente, sia per difetto dell’espressa previsione in tal senso (richiesta dall’art. 3 dello Statuto del Contribuente), sia, più in generale, perché una tale applicazione retroattiva determinerebbe violazione degli artt. 3, 23, 24, 25 comma 2 e 53 della Costituzione.
L’inammissibilità della portata retroattiva dell’art. 12, come detto, costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza: sul punto si richiamano: C.T.P. Vicenza sentenza n. 61/3/12, C.T.R. Milano n. 3878/20/2014, n. 26/24/13, C.T.P. Vicenza 18.6.2012, n. 61/3/12, C.T.P. Milano 20.5.2014, n. 4753/12/14, C.T.R. Milano n. 26/24/2013, C.T.R. Roma 4.6.2014, sez. XIX, n. 3656, C.T.R. Milano n. 382/29/2014 e C.T.P. Milano n. 9234/8/15, solo per citare le più rilevanti, nonché, con riferimento alla giurisprudenza ligure, la Sentenza n. 1110 del 5 maggio 2016 (ud 17 marzo 2016) della Commiss. Trib. Prov., Genova, Sez. XIII.
Di estremo interesse in argomento, appare poi la pronuncia della C.T.R. Lazio – Frosinone Sez. II 03.10.2016 secondo cui la norma sul raddoppio, oltre a non essere retroattiva, opera solamente per l’accertamento delle somme che si presumono costituite con redditi sottratti a tassazione (ossia ai fini dell’accertamento strettamente reddituale) che è fattispecie ben diversa e distinta da quella della violazione degli obblighi di monitoraggio (ossia della sanzione per la mancata compilazione del quadro RW)
Di talché nel primo caso, il raddoppio sarebbe applicabile, mentre nel secondo dove non è in discussione la natura dei redditi detenuti all’estero (oggetto di separato accertamento) e l’accertamento non è mirato alla dimostrazione che le somme siano state costituite con redditi sottratti a tassazione, ma soltanto che siano stati violati gli obblighi di monitoraggio fiscale, no.
Ancora una volata occorrerà attendere che presso la Sezione Tributaria della Cassazione si consolidi, sul punto, un orientamento definito, sperabilmente favorevole al contribuente.
Avv. Alberto Michelis