Le cartelle esattoriali non si prescrivono mai!
La prescrizione della cartelle esattoriali è un tema sempre attuale per i contribuenti che hanno qualche conto in sospeso con gli agenti di riscossione e che spesso sono fuorviati da titoli “ad effetto” circa la prescrizione più breve o più lunga, quinquennale o decennale, che popolano il mondo del web e dei social network.
Il tema è delicato, ma va affrontato sfatando qualche mito. Il primo in assoluto: la cartella esattoriale di per sé, non si prescrive… né in cinque, né in dieci anni!
Prescrizione della cartella: un problema mal posto
La provocazione nasce dal fatto che il tema è, generalmente, mal posto: non si prescrive la “cartella”, ma si prescrivono semmai i tributi che, in essa elencati, sono l’oggetto della riscossione forzata da parte dell’agente della Riscossione (Agenzia delle Entrate Riscossione o altri agenti).
Invero, la cartella esattoriale non è altro che una sorta di “promemoria” del debito con l’erario: la sua funzione, nella struttura del procedimento di riscossione, è analoga a quella che, in ambito civilistico, svolge l’atto di precetto: l’agente della riscossione, notificando la cartella esattoriale, ci sta comunicando che un soggetto (l’ente impositore), in forza di un titolo esecutivo (un accertamento non impugnato), sta per intraprendere un’esecuzione forzata e lo farà decorsi 60 giorni, se quest’ultimo non si sarà attivato per pagare o, quantomeno, per rateizzare il debito.
In questo senso, come non avrebbe senso dire che l’atto di precetto non eseguito entro un certo termine “si prescrive”, altrettanto ha poco senso sostenere che la cartella esattoriale cada in prescrizione.
Come il precetto, ove non eseguita entro un certo termine, anche la cartella perde efficacia: trascorso un anno dalla notifica, per iniziare l’azione esecutiva, l’agente della riscossione dovrà notificare un nuovo atto (l’intimazione di pagamento), ma da tale caduazione non deriva ovviamente che le somme pretese a titolo di imposte o sanzioni svaniscano nel nulla.
Tali importi, affidati alla riscossione continuano ad essere dovuti, salvo che non maturi la loro prescrizione.
All’origine del mito della prescrizione quinquennale
Come nasce dunque il mito della prescrizione quinquennale delle cartelle esattoriali?
Come spesso capita, la leggenda nasce dal fraintendimento di una importante sentenza delle Sezioni Unite e dal profluvio di articoli e di commenti che dalla lettura di quella sentenza (Sentenza n. 23397 del 17 novembre 2016) hanno tratto – in modo erroneo – il convincimento che la Corte, sanando un contrasto giurisprudenziale, avesse sancito la prescrizione quinquennale delle cartelle esattoriali.
In realtà, il principio affermato con quella sentenza delle Sezioni Unite è ben diverso e non vale ad uniformare il termine di prescrizione a cinque anni per tutte le cartelle esattoriali, quale che ne sia il contenuto.
Giudicando in materia di contributi INPS dovuti a seguito di cartella non opposta, infatti, le Sezioni Unite hanno sanato un contrasto giurisprudenziale (che peraltro, dalla lettura della motivazione sembrerebbe frutto di un mero errore…) inerente esclusivamente il termine di prescrizione di tali contributi.
La prescrizione quinquennale dei contributi INPS non impugnati
Il quesito demandato alle Sezioni Unite era infatti quello di stabilire se il credito INPS per contributi omessi, contenuto in una cartella esattoriale non impugnata tempestivamente, si prescrivesse in cinque anni – come stabilisce la legge – o in dieci, ai sensi dell’art. 2953 cod. civ. avendo subito, a seguito della mancata impugnazione una “trasformazione” in titolo esecutivo equiparato a quello di formazione giudiziale (ad. es. una sentenza passata in giudicato o un decreto ingiuntivo non opposto).
Come noto l’art. 2953 cod. civ. stabilisce che “i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando in relazione ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni”.
In altre parole la Corte era chiamata a decidere se la mancata impugnazione della cartella esattoriale INPS avesse determinato la trasformazione e l’equiparazione di quell’atto di natura amministrativa ad una sentenza di condanna, con conseguente allungamento del termine di prescrizione a dieci anni, come sostenuto da Cass. Civ. Sez. Lav. n. 5060 del 15.03.2016.
La risposta delle Sezioni Unite è negativa: la cartella esattoriale è atto amministrativo e la sua natura non cambia, neppure a seguito della mancata opposizione da parte del destinatario nel termine fissato dalla legge.
La scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva di un credito, produce l’irretrattabilità del credito stesso, ma non anche la conversione del suo termine prescrizionale breve, se previsto, in quello ordinario decennale.
In altre parole, il soggetto destinatario della cartella non potrà più far valere, nel merito, una contestazione del credito preteso dall’INPS (che in questo senso diverrà “definitivo”), ma potrà sempre eccepire l’intervenuta prescrizione di tale credito laddove nel termine di cinque anni dalla notifica della cartella non subisca alcun atto esecutivo e non riceva alcun atto interruttivo della prescrizione.
La giurisprudenza di legittimità dopo le Sezioni Unite
La sentenza della Cassazione ha il pregio di ribadire e chiarire una volta per tutte che la “trasformazione” del termine breve nel termine “lungo” ex art. 2953 c.c. avviene solo ed esclusivamente ove intervenga un titolo giudiziale definitivo e non in caso di semplice acquiescenza del contribuente a fronte di un atto amministrativo (in questo caso la cartella INPS, in altri casi un avviso di accertamento, un avviso di liquidazione ecc.).
Detto ciò, tuttavia, il riferimento alla prescrizione quinquennale nel caso giudicato non discende certo da un’ipotetica prescrizione quinquennale della cartella, ma esclusivamente dal fatto che i contributi INPS si prescrivono in cinque anni.
Non così invece altri crediti erariali, che possono essere riscossi (dopo essere stati accertati dagli enti impositori) dall’agente della riscossione come sanzioni amministrative, IRPEF, IRAP, IVA, diritti CCIAA, imposte locali varie, spese di giustizia: ognuno di questi seguirà le regole sulla propria prescrizione previste dalla legge e l’effetto della notifica della cartella esattoriale, sarà – al pari di qualsiasi altra formale richiesta o atto esecutivo – quello di interrompere la prescrizione e farla decorrere ex novo da zero.
Tale principio è stato di recente ribadito dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza 6997 del 11/03/2020 che conferma l’assetto della prescrizione diversificata dei crediti erariali e non, riscossi tramite ruoli esattoriali, già più volte riaffermato dalla giurisprudenza: in sostanza non si prescrive “la cartella”, ma si prescrivono i tributi/contributi/sanzioni con essa riscossi, secondo i rispettivi termini prescrizionali previsti dalla legge per ogni singola voce.
Ciò quantomeno a condizione che la debenza di quei tributi/contributi/sanzioni non sia stabilita da un giudice a mezzo di una sentenza passata in giudicato, perché in quel caso l’art. 2953 cod.civ. è pienamente efficace.
Crediti diversi, diversi tempi di prescrizione
Di regola, dunque, un credito INPS, dunque continuerà a prescriversi in cinque anni, così come una sanzione del codice della strada, un tributo locale, una sanzione tributaria; ma per quanto attiene ad IRPEF, IVA e IRAP non si sfugge all’applicazione della regola della prescrizione decennale.
La citata ordinanza 6997 del 11/03/2020 osserva fra l’altro :“per i tributi erariali – IRPEF, IRES, IRAP, IVA – accertati in un atto definitivo per omessa impugnazione non è applicabile la prescrizione breve di cinque anni prevista per le prestazioni periodiche ai sensi dell’art. 2948 c.c., poiché i crediti erariali non possono considerarsi prestazioni periodiche in quanto derivano da valutazioni fatte per ciascun anno d’imposta sulla sussistenza dei presupposti impositivi. Consegue che, nella carenza di una espressa disposizione di legge, per detti tributi è applicabile la prescrizione ordinaria decennale (art. 2946 c.c.), quale unico termine rilevante in fase di recupero.”
Unica eccezione alla regola della prescrizione diversificata per tributo si avrà allora nel caso in cui il contribuente abbia fatto ricorso contro l’atto amministrativo che ha accertato il credito o irrogato la sanzione ed il giudizio si sia concluso con una sentenza definitiva (di rigetto, almeno parziale, dell’impugnazione…): in quel caso, in presenza di una sentenza passata in giudicato, la prescrizione del credito salirà sempre a 10 anni (indipendentemente dal termine “originario”) e, per giunta, decorrerà dal passaggio in giudicato della sentenza.
In conclusione
Quando di parla di prescrizione delle “cartelle esattoriali” occorre sempre rimanere con i piedi per terra e diffidare dalle facili soluzioni di chi promette l’azzeramento del debito con l’erario dopo aver frettolosamente visionato un estratto del ruolo.
Ciò che occorre verificare sempre, per valutare l’eventuale prescrizione, è la natura del credito (imposta erariale, locale, sanzione amministrativa, contributo previdenziale) riscosso e la natura del titolo esecutivo da cui il credito deriva (atto non impugnato o sentenza), oltre ovviamente alla presenza di atti cautelari (iscrizioni ipotecarie, fermi amministrativi ecc.): solo da queste variabili si può realisticamente valutare, in assenza di atti interruttivi, se la pretesa sia ancora utilmente azionabile o sia caduta in prescrizione.
Avv. Alberto Michelis