IVIE: credito di imposta a due velocità per i Paesi UE/SEE e per gli altri Paesi.

L’applicazione dell’IVIE, dalla sua creazione normativa in avanti, ha comportato una serie di problemi ai consulenti fiscali che sono gravati dal legislatore italiano non solo di conoscere bene la normativa nazionale, ma per giunta, di conoscere nei dettagli il sistema fiscale estero, al fine di determinare quale sia la base imponibile, se vi sia la possibilità di beneficiare di un credito di imposta e a quali condizioni.

Il presente articolo si propone di analizzare il testo normativo al fine di cogliere la natura dell’imposta in oggetto e determinare come debba essere calcolato il credito di imposta, ove esistente, con precipuo riferimento al caso spagnolo in cui la tassazione dell’immobile avviene sia attraverso una imposta di natura patrimoniale (l’IBI, Impuesto sobre los Bienes Inmuebles, corrispondente alla nostra IMU), sia attraverso un’imposta di natura reddituale (la “renta”), laddove l’immobile non sia locato.

1. L’IVIE nella normativa Italiana: una nascita travagliata.

L’Imposta sul valore degli immobili situati all’estero (IVIE) ha avuto vita travagliata sin dalla nascita: introdotta dall’articolo 19 del D. L. n. 201 del 2011 a decorrere dal 2011, l’imposta viene subito “rinviata” al 2012 dalla legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228 del 2012, articolo 1, commi 518 e 519) che, intervenuta dopo che taluni contribuenti avevano già effettuato il versamento relativamente al 2012, ha dovuto prevedere una clausola di salvaguardia per i versamenti già effettuati per l’anno 2011, considerandoli eseguiti in acconto per l’anno 2012. Il vigente testo normativo deriva peraltro da un’ulteriore modifica apportata dal D.L. n. 16 del 2012 (articolo 8, comma 16).

La nascita travagliata dell’imposta è in realtà conseguenza di una procedura avviata dalla Commissione Europea all’indomani dell’approvazione del DL 201/2011, nella quale sono stati evidenziati numerosi profili di criticità nei confronti della nuova imposta. La Commissione Europea – direzione generale fiscalità e unione doganale ha infatti aperto il procedimento UE – Pilot 3506/12/TAXUD sollevando cinque eccezioni nei confronti della neonata imposta attinenti in particolare:

  • alla disparità temporale con l’IMU (IVIE ed IVAFE erano infatti previste come retroattive, rispetto all’IMU);
    alla disparità di trattamento dei contribuenti soggetti ad IVIE che sarebbero stati assoggettati sia a IRPEF che a IVIE (a differenza dei contribuenti soggetti solo a IMU);
  • al vantaggio per i lavoratori pubblici e di organismi internazionali;
  • all’incongruenza del principio di residenza
  • all’impossibilità di beneficiare delle riduzioni d’aliquota previste invece per l’IMU dai Comuni Italiani.

In risposta a tale procedura la legge di stabilità per il 2013 ha introdotto i principali correttivi richiesti dalla Commissione Europea: ha fatto decorrere l’imposta dall’anno 2012, anziché dal 2011, ha previsto un’aliquota agevolata per l’immobile adibito (da chiunque) ad abitazione principale, ha previsto un pagamento strutturato in acconto e saldo, come per l’IRPEF ed infine, ha previsto la piena equiparazione dell’IVIE (per gli immobili all’estero) all’IMU (per gli immobili nazionali), introducendo il principio dell’inapplicabilità dell’art. 70 TUIR agli immobili esteri impiegati come abitazione principale o tenuti a disposizione (non locati).

2. L’applicazione dell’IVIE.

Presupposto dell’imposta, pur in una formulazione letterale non felice, è la proprietà di diritti reali su immobili a qualunque uso destinati, situati all’estero (art. 19 comma 13 Dl 201/2011).

Concetto infelice, quello di “diritti reali”, atteso che nell’interprete italiano richiama un ben definito numero (chiuso) di diritti quali usufrutto, uso ed abitazione, che, tuttavia, nel caso di specie appare troppo limitativo.

L’interpretazione su cosa sia un “diritto reale”, infatti, andrà condotta a partire dal diritto civile del paese estero in cui l’immobile è ubicato, come peraltro indica espressamente la circolare 28/E dell’Agenzia delle Entrate del 02.07.2012: sarà pertanto tenuto al pagamento il proprietario o l’usufruttuario dell’immobile, ma anche il titolare di un diritto corrispondente al diritto d’uso o di abitazione, e addirittura il leaseholder nei paesi di common law, ossia il titolare di un diritto di utilizzo e sfruttamento dell’immobile che, per quanto soggetto ad un corrispettivo, ha caratteristiche più simili al nostro usufrutto che ad un contratto di locazione.

Il soggetto passivo di imposta è dunque il proprietario dell’immobile ovvero il titolare di altro diritto reale sul medesimo, il quale è tenuto a corrisponderla in proporzione alla quota di possesso e al numero di mesi dell’anno in cui detto possesso si è protratto (cfr. art. 19 comma 14). L’aliquota di riferimento è pari allo 0,76 % del valore dell’immobile, ma, qualora l’immobile sia adibito ad abitazione principale del soggetto passivo, l’aliquota è ridotta allo 0,4% con possibilità di detrazioni (invero limitate agli anni 2012 e 2013) in base al numero di figli a carico. Una detrazione, o meglio, una vera e propria “franchigia” è invece prevista in via generale, laddove l’imposta dovuta, sulla base dei criteri di calcolo indicati dalla norma, sia inferiore o uguale ad € 200. Per quanto attiene al calcolo della base imponibile, l’art. 19 comma 15 prevede che la stessa sia pari al:

  • costo di acquisto dell’immobile, come risultante dall’atto di acquisto “o dai contratti” (cfr. infra)
  • (in mancanza di un costo di acquisto) valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l’immobile.

Tale norma si ricava dalla disposizione del secondo periodo del comma 15 norma che recita: “Il valore è costituito dal costo risultante dall’atto di acquisto o dai contratti e, in mancanza, secondo il valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l’immobile”.

Anche in questo caso il legislatore non brilla per tecnica legislativa, posto che pare quantomeno dubbio quali siano i “contratti” diversi dall’atto di acquisto cui fare riferimento: un barlume interpretativo si coglie nella circolare 28/E citata, che al punto 1.2 precisa che il riferimento è rivolto ai “contratti da cui risulta il costo complessivamente sostenuto per l’acquisto di diritti reali diversi dalla proprietà” (ossia dall’atto… di acquisto di tali diritti).

Pare invero plausibile che il termine debba essere riferito alle ipotesi di contratti non istitutivi di veri e propri diritti reali, ma di diritti di godimento che, tuttavia vengono equiparati ai diritti reali (è il caso citato del leaseholder), ovvero alle ipotesi di immobile costruito direttamente dal contribuente all’estero, il cui valore, sempre a mente della citata circolare, è dato dal costo di costruzione sostenuto dal proprietario, risultante da idonea documentazione.

Significative agevolazioni, sono tuttavia previste nel caso di immobili situati in Paesi appartenenti all’Unione Europea o in Paesi aderenti allo Spazio Economico Europeo che garantiscono un adeguato scambio di informazioni: in tal caso il valore di riferimento per stabilire la base imponibile è quello catastale come determinato e rivalutato nel Paese in cui l’immobile è situato ai fini dell’assolvimento di imposte di natura patrimoniale o reddituale; laddove tuttavia il Paese non disponga di un sistema catastale il criterio di riferimento sarà nuovamente quello del costo risultante dall’atto di acquisto o, in mancanza, del valore di mercato.

Può peraltro capitare che – paradossalmente – nel Paese estero esista una pluralità di valori “catastali” impiegabili gli uni ai fini del calcolo delle imposte reddituali e gli altri ai fini delle imposte patrimoniali: in tal caso, la circolare 28/E precisa che il valore di riferimento è quello rilevante ai fini patrimoniali.

3.Un’imposta patrimoniale parzialmente sostitutiva delle imposte reddituali.

A seguito delle cinque eccezioni formulate dalla Commissione Europea ed in particolare di quella relativa alla disparità di trattamento fra contribuenti per l’assoggettamento a IRPEF e IVIE – che rischiava di provocare una rilevante discriminazione rispetto ai contribuenti proprietari o titolari di diritti reali su immobili nazionali che su detti immobili, a parità di condizioni, avrebbero pagato la sola IMU e non l’IRPEF – l’IVIE ha subito una radicale trasformazione.

Nata come imposta essenzialmente patrimoniale, nella prima versione normativa, il tributo assume i caratteri di un’imposta “ibrida” sotto il profilo patrimoniale-reddituale, dovendo riprodurre, per evitare l’apertura di procedure di infrazione, la stessa natura mista dell’IMU.

Dunque se da un lato l’IVIE resta indubitabilmente un’imposta di natura patrimoniale, incidendo in misura fissa sul valore di un asset patrimoniale immobiliare, tuttavia detta natura, in analogia a quanto accade in Italia per l’IMU, sostituisce ed accorpa, in talune ipotesi, anche la tassazione reddituale sui medesimi assets.

E’ quanto prevede, infatti, il comma 15-ter: “per gli immobili di cui al comma 15-bis (ossia per gli immobili adibiti ad abitazione principale del soggetto passivo – N.d.R.) e per gli immobili non locati assoggettati all’imposta di cui al comma 13 del presente articolo, non si applica l’art. 70 comma 2 del Testo Unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917 e successive modificazioni”.

Tale previsione ha la funzione di parificare integralmente l’IVIE sugli immobili esteri all’IMU sugli immobili siti nel territorio nazionale, escludendo dall’imposizione ai fini reddituali in Italia, in via generale, i redditi dei fabbricati situati all’estero utilizzati come abitazione principale o, comunque, non locati.

A livello di prassi amministrativa, tale equiparazione è espressamente sancita dalla Circolare 13/E dell’Agenzia delle Entrate del 09.05.2013 che stabilisce: “l’articolo 1 della legge n. 228 del 2012, oltre a stabilire dal 2012 la decorrenza dell’IVIE (originariamente prevista dal periodo di imposta 2011), ha ampliato l’ambito di non applicazione dell’articolo 70, comma 2, del TUIR, includendo, in aggiunta agli immobili adibiti ad abitazione principale, anche gli immobili non locati. Ciò alla luce della sostanziale equiparazione dell’IVIE con l’imposta municipale propria (IMU) in Italia e in virtù del principio di sostituzione di tale ultima imposta rispetto all’IRPEF e delle relative addizionali dovute sui redditi fondiari per i beni non locati (articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23). Pertanto, per ragioni di coerenza, anche l’esclusione dall’IRPEF dei predetti immobili soggetti all’IVIE decorre dall’anno 2012. Per tali immobili non deve essere pertanto compilato il corrispondente quadro della dichiarazione dei redditi relativo alla indicazione dei redditi degli immobili situati all’estero. Più precisamente, si tratta del quadro D del modello 730 2013 e del quadro RL del modello UNICO PF 2013. Naturalmente rimane fermo l’obbligo di compilazione del modulo RW. È opportuno, tuttavia, precisare che nel caso in cui l’immobile sia locato solo per una parte dell’anno le disposizioni del citato articolo 70 del TUIR trovano applicazione con riferimento alla parte del periodo di imposta in cui verifica tale circostanza (cfr. anche la circolare n. 5/E dell’11 marzo 2013)”.

4. Un credito di imposta ad hoc contro la doppia imposizione.

La natura sostanzialmente ibrida dell’imposta e il fatto che la stessa per taluni immobili sostituisca integralmente le imposte di natura reddituale dovute sull’immobile estero, determina tuttavia alcune problematiche inerenti la doppia imposizione, sia in senso giuridico (stesso soggetto che rischia di subire una doppia tassazione in due Paesi diversi) che in senso economico (stesso reddito che rischia di essere assoggettato a tassazione due volte).

Infatti in Italia il TUIR fissa, all’art. 165, le casistiche in base alle quali spettano in Italia i crediti d’imposta per imposte pagate all’estero e le modalità per poterne usufruire.

In base a detto articolo tuttavia, nonostante l’imposta abbia natura sia patrimoniale che sostitutiva di una componente reddituale, è esclusa l’applicabilità alla medesima dell’art. 165 del TUIR, atteso che, proprio in virtù del comma 15 ter, il reddito dell’immobile estero non è imponibile in Italia: viene dunque a mancare radicalmente uno dei presupposti di applicazione del credito di imposta interno (ossia la doppia imposizione del medesimo reddito nei due paesi – doppia imposizione economica).

Dall’inapplicabilità dell’art. 165 TUIR dunque, discenderebbe, in assenza di correttivi una doppia imposizione giuridica: il soggetto (contribuente italiano) sarebbe costretto a pagare all’estero le imposte sui redditi sull’immobile senza poter dedurre nulla in Italia ed, in più, dovrebbe pagare in Italia l’IVIE.

Si creerebbe così un’evidente disparità di trattamento fra contribuenti (nazionali di quello Stato estero e italiani), in tutti quei casi in cui il Paese estero applicasse una propria imposta reddituale (sola o aggiunta ad una imposta patrimoniale) sul medesimo bene.

Nel caso di applicazione, da parte del Paese Estero, di un’imposta patrimoniale, in aggiunta a quella reddituale, addirittura il medesimo bene si troverebbe a scontare tre tassazioni differenti concorrenti: l’imposta patrimoniale estera, l’imposta reddituale estera e l’IVIE italiana.

Va da sé che tale evenienza doveva essere evitata con opportuni accorgimenti che prevedessero la possibilità per il contribuente Italiano di vedersi riconosciuto in qualche modo un credito di imposta, per quanto diverso da quello dell’art. 165 TUIR, come detto, inapplicabile alle imposte patrimoniali e comunque inapplicabile nei casi previsti dal comma 15 ter.

Un tale accorgimento, naturalmente, oltre ad essere opportuno per ragioni di equità, in relazione a tutti i paesi esteri, diveniva imprescindibile per i Paesi comunitari, perché la sua mancata adozione avrebbe costituito aperta violazione del principio di non discriminazione.

Al fine di evitare tale situazione, il legislatore italiano ha correttamente previsto al comma 16 uno specifico credito di imposta applicabile solo all’IVIE, stabilendo che: “dall’imposta di cui al comma 13 si deduce, fino a concorrenza del suo ammontare, un credito d’imposta pari all’ammontare dell’eventuale imposta patrimoniale versata nello Stato in cui è situato l’immobile”.

Tale norma è peraltro integrata da un secondo comma che estende sensibilmente il credito di imposta per gli immobili situati in un Paese UE o in un Paese aderente allo Spazio Economico Europeo; il secondo periodo del comma 16 infatti stabilisce che “Per gli immobili situati in Paesi appartenenti alla Unione europea o in Paesi aderenti allo Spazio economico europeo che garantiscono un adeguato scambio di informazioni, dalla predetta imposta si deduce un credito d’imposta pari alle eventuali imposte di natura patrimoniale e reddituale gravanti sullo stesso immobile, non già detratte ai sensi dell’articolo 165 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”.

In definitiva, il legislatore italiano concede un credito di imposta che è sempre pari all’imposta di natura patrimoniale pagata nel paese estero ma, per i soli Paesi UE e per i Paesi SEE che garantiscono lo scambio di informazioni, consente di sommare a tale imposta patrimoniale anche l’eventuale imposta reddituale pagata nel Paese estero.

In tale ipotesi, tuttavia, la possibilità di utilizzare le imposte reddituali pagate all’estero come “credito” per l’IVIE è ammessa a condizione che tali imposte non siano già state detratte ai sensi dell’art. 165 del TUIR.

In altri termini, fermo restando che l’imposta patrimoniale straniera si compensa sempre fino a concorrenza di quanto pagato, per quanto attiene all’imposta reddituale si può compensare solo nella misura in cui non sia stata già impiegata come credito di imposta ai sensi dell’art. 165 del TUIR.

La compensazione pertanto sarà sempre possibile laddove il soggetto passivo non abbia altri redditi all’estero e l’immobile sia tenuto a disposizione (non locato) o adibito a residenza principale, atteso che, in quei casi, poiché il reddito (fondiario) dell’immobile non sarà imponibile in Italia ai fini reddituali, l’imposta reddituale sull’immobile pagata all’estero non verrà compensata affatto ai sensi dell’art. 165 TUIR (e potrà pertanto essere integralmente impiegata come credito IVIE).

Diversa ovviamente l’ipotesi in cui il soggetto passivo ritragga altri redditi dall’immobile all’estero, ad esempio, non tenga l’immobile a disposizione ma lo conceda in locazione: in tal caso la possibilità di impiegare la sola quota di imposte reddituali riferibili all’immobile in questione come credito, è concessa solo se residui ancora una parte di imposta estera non compensata ai sensi dell’art. 165 TUIR.

Il principio è ben spiegato dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 28/E del 02 luglio 2012 al punto 1.3.2 secondo cui: “dall’imposta dovuta in Italia, si detraggono prioritariamente le imposte patrimoniali effettivamente pagate nel Paese in cui sono situati gli immobili nell’anno di riferimento. Inoltre, qualora sussista un’eccedenza di imposta reddituale gravante su immobili ivi situati non utilizzata ai sensi dell’articolo 165 del Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), dall’imposta dovuta in Italia per quegli immobili si detrae, fino a concorrenza del suo ammontare, anche un ulteriore credito d’imposta derivante da tale eccedenza.

Al fine di agevolare l’interprete e di evitare la detrazione di altre imposte (come ad esempio quelle sulla raccolta dei rifiuti che non sono contemplate all’interno del credito di imposta) la medesima circolare individua espressamente per i Paesi UE e SEE (Islanda e Norvegia) quali sono le imposte di natura patrimoniale che debbono essere prese come riferimento sia (in taluni casi) per il calcolo del valore dell’immobile, sia per la determinazione della detrazione.

L’elenco invero non deve ingannare perché ha una funzione meramente ricognitiva delle imposte patrimoniali detraibili: il fatto che solo quelle siano espressamente identificate e non anche le imposte reddituali non significa affatto che queste ultime non possano essere detratte, atteso che il dettato normativo, e le stesse illustrazioni delle circolari citate, sono del tutto chiare sul punto.

5. L’IVIE sugli immobili in UE: il caso Spagna.

Il caso degli immobili detenuti da soggetti residenti Italiani in Spagna è particolarmente interessante per illustrare l’applicazione della suddetta norma e del credito di imposta in particolare.

La Spagna infatti ha un sistema catastale assai simile a quello italiano e tassa i propri immobili sulla base dei valori risultanti dai registri immobiliari; prevede un’imposta di natura patrimoniale sugli immobili (IBI) e, in aggiunta, prevede altresì una tassazione reddituale sui redditi fondiari dei beni immobili (renta).

Applicando le norme sopra viste, dunque, la base imponibile verrà calcolata non sul valore dell’immobile indicato nell’atto di acquisto, ma unicamente sulla base del valore catastale (il che, per il contribuente, rappresenta un notevole vantaggio, posto che anche in Spagna il valore catastale è abitualmente inferiore rispetto al valore di mercato).

Su tale valore verrà dunque applicata l’aliquota dello 0,76% (o dello 0,4%, ricorrendone i presupposti) e, a quel punto, occorrerà valutare se il risultato dell’operazione di calcolo sarà superiore o inferiore alla cd. “franchigia” di € 200,00: se è inferiore, nulla sarà dovuto a fini IVIE, a prescindere dal fatto che, all’estero, si sia pagata l’IBI e la renta.

Laddove al contrario il risultato porti a superare la soglia dei 200€, dall’imposta totale dovrà detrarsi in prima battuta concorrenza il credito di imposta pari a tutta l’IBI pagata al Ayuntamiento di appartenenza dell’immobile.

Laddove da tale operazione residuasse ancora una quota di IVIE da pagare, il contribuente potrebbe beneficiare ancora di un “credito” pari alle imposte reddituali pagate in Spagna e relative all’immobile, a condizione che non le abbia impiegate, ai sensi dell’art. 165 TUIR come credito per le imposte reddituali da pagare in Italia (per i redditi ovviamente prodotti in Spagna).

Tale quota di “credito” IVIE (che, lo si ripete, è disciplinato in modo del tutto diverso dal credito di imposta di cui all’art. 165 TUIR) sarà pertanto “piena” e pari alle imposte pagate all’estero sull’immobile solo nell’ipotesi in cui il contribuente possegga un immobile tenuto “a disposizione”, in quanto non tassato in Italia, mentre sarà solo eventuale nell’ipotesi in cui l’immobile sia produttivo di reddito (per esempio da locazione), dovendosi verificare se, dopo aver applicato l’art. 165 TUIR, residua ancora una quota di imposte (relative all’immobile), che può essere utilizzata per ridurre l’IVIE.

Un esempio può chiarire meglio la situazione.

Si pensi ad un immobile acquistato nel comune di Arona (Santa Cruz de Tenerife – Spagna) al prezzo di € 70000,00 nel 2011 il cui valore catastale è pari ad € 46190,61.

Nel 2013, il comune di Arona applica una IBI pari allo 0,649% calcolandola sul valore catastale del bene, per un importo complessivo di € 299,78. L’immobile viene tenuto a disposizione del proprietario e, per tale ragione, sulla base della legislazione fiscale spagnola, sconta una imposta sui redditi dei non residenti pari al 24,75% calcolato sulla base imponibile di € 508,08 per l’anno 2013, vale a dire € 125,74.

Il totale delle imposte pagate sull’immobile per l’anno 2013 ammonta, pertanto, a complessivi € 425,52.

Sul fronte Italiano, tuttavia, lo stesso immobile sarà imponibile ai fini IVIE: in questo caso, la base imponibile non sarà il prezzo di acquisto (70000,00 €), ma, in virtù delle norme sopra richiamate, sarà il valore catastale, atteso che l’immobile è situato in uno Stato appartenente all’Unione Europea.

L’importo dell’IVIE sarà dunque pari a € 46190,61 x 0,76% = 351,05.

Essendo il risultato superiore ad € 200,00 l’imposta deve (almeno teoricamente) essere pagata.

Si noti peraltro che quello stesso immobile, laddove fosse adibito ad abitazione principale del residente italiano all’estero, non sarebbe soggetta all’imposta: poiché infatti, in quel caso, l’aliquota sarebbe pari allo 0,4%, l’imposta dovuta ammonterebbe ad € 184,76 e sarebbe completamente assorbita dalla detrazione (in questo caso è realmente una detrazione e non una “franchigia”) di € 200,00 prevista dal secondo periodo del comma 15 bis.

Tornando all’esempio principale, il nostro contribuente sarebbe tenuto a pagare, prima dell’applicazione del credito di imposta di cui al comma 16, un IVIE pari a € 351,05.

Da tale somma può però detrarre integralmente l’IBI pagata nel 2013 ossia € 299,78: residua pertanto un’imposta di € 51,27 che occorre valutare se possa essere ulteriormente compensata anche con le imposte sul reddito “non già detratte” come credito di imposta ai sensi dell’art. 165 TUIR. Nell’esempio si è detto che l’immobile è tenuto a disposizione e, come tale, è escluso da imposizione in Italia ai sensi dell’art. 70 del TUIR per espressa disposizione legislativa: ne consegue che il contribuente non avrà la possibilità di detrarre nulla delle imposte pagate in Spagna ai sensi dell’art. 165 TUIR, di talché tutta l’imposta reddituale spagnola sarà “intonsa” e potrà essere totalmente compensata con l’IVIE a mente della citata disposizione.

Qualora al contrario l’immobile fosse locato e producesse reddito rilevante sia ai fini delle imposte in Spagna, sia ai fini delle imposte in Italia, la possibilità di detrarre anche una quota di imposta reddituale (oltre all’IBI) sarebbe subordinata al fatto che l’imposta pagata all’estero fosse più elevata di quella pagata in Italia: solo in quell’ipotesi infatti residuerebbe una parte di imposta (spagnola) che non essendo utilmente impiegabile come credito di imposta ai sensi dell’art. 165 TUIR, potrebbe essere sfruttata per compensare, in tutto o in parte, l’IVIE.

Avv. Alberto Michelis – Dott. Comm. Mauro Finiguerra

3 Thoughts to “IVIE: credito di imposta a due velocità per i Paesi UE/SEE e per gli altri Paesi.”

  1. M

    Buonasera, la mia situazione è questa: sto per comprare una casa di a Malta (in cui intendo abitare e non sarà affittata) e ho residenza in Italia (dove lavoro) in una casa in affitto.

    Non capisco bene il concetto di proprietà immobiliare all’ estero destinata ad abitazione principale. Se fosse la mia abitazione principale non avrei la residenza fiscale in Italia…

    Nel mio caso posso destinare la proprietà a Malta come abitazione principale e dunque pagare lo 0.4%?

    Grazie

    1. Buongiorno

      l’aliquota agevolata allo 0,4% si applica a quei soggetti che, pur risiedendo stabilmente all’estero ed avendo qui la loro abitazione principale, dal punto di vista fiscale sono considerati residenti in Italia.
      E’ una situazione molto particolare che riguarda essenzialmente i soggetti che prestano lavoro all’estero per lo Stato italiano, per una sua suddivisione politica o amministrativa o per un suo ente locale e le persone fisiche che lavorano all’estero presso organizzazioni internazionali cui aderisce l’Italia, la cui residenza fiscale in Italia sia determinata, in deroga agli ordinari criteri previsti dal TUIR, in base ad accordi internazionali.
      Nel suo caso, ove continuasse a vivere e lavorare in Italia, l’acquisto dell’immobile a Malta (ancorché unico immobile di proprietà) comporterebbe l’applicazione della tassazione all’aliquota ordinaria perché lo stesso non sarebbe in concreto adibito ad abitazione principale; ove invece si trasferisse effettivamente a vivere a Malta, semplicemente l’imposta non sarebbe dovuta, in quanto a quel punto, sarebbe a tutti gli effetti un residente fiscale maltese.

      AM

  2. F

    Buongiorno, non si potrebbe aggredire questa tassa con il diritto di libera circolazione dei capitali nell’UE? Nessuno ha mai pensato a una class action?

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