Omesso versamento delle ritenute certificate.
In claris non fit interpretatio, insegna l’antico adagio.
Eppure è sorprendente scoprire come talora, dopo anni di consolidati orientamenti nell’interpretazione di una norma, ci si ferma e ci si accorge che le cose non sono così chiare come sembrano e che, a ben guardare, i criteri adottati debbono essere rivisti.
E’ quanto accade in questi mesi all’ art. 10 bis del D. Lgs. 10/03/2000 n. 74 sull’omesso versamento delle ritenute certificate, che dopo anni di rigorosa applicazione da parte di Corti di merito e di legittimità, ha formato oggetto di qualche ripensamento da parte della Corte di Cassazione che, se verrà consolidato, costituirà un netto “revirement” nell’interpretazione della norma.
La disposizione legislativa, introdotta dall’art. 1, comma 414, L. 30 dicembre 2004, n. 311 con decorrenza dal 01 gennaio 2005 per contrastare l’omesso versamento in sé è piuttosto chiara: “E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta”
Sino ad oggi l’elemento materiale del reato è stato individuato nel fatto di non aver versato all’erario le ritenute operate dal sostituto di imposta ai sostituiti, entro il termine della dichiarazione annuale (modello 770), ove di ammontare superiore ad € 50000 per singolo anno di imposta: a fronte della mera verifica, da parte dell’Agenzia delle Entrate, della presentazione del modello 770 e del mancato pagamento delle ritenute in esso dichiarate, è dunque scattata immediatamente la comunicazione della notizia di reato alla Procura, laddove fosse superata la soglia di punibilità.
A fronte della documentazione pervenuta dall’Agenzia delle Entrate, in genere la Procura ha sinora chiuso le indagini senza approfondire oltre e soprattutto, senza verificare in concreto se i sostituiti avessero effettivamente ricevuto la certificazione, forte di un orientamento giurisprudenziale che riteneva sufficiente, per la prova dell’elemento materiale del reato, la semplice dichiarazione del 770.
Tale indirizzo, tuttavia, non pare più percorribile a cuor leggero dopo le argomentazioni svolte dalla Sezione III della Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 40526 del 08.04.2014 e ribadite nella Sentenza n. 5736 del 09.02.2015.
Invero, soffermandosi sul dato testuale della disposizione incriminatrice, la Corte ritiene che l’elemento materiale del reato non sia il semplice mancato pagamento delle ritenute operate dal sostituto, ma debba ravvisarsi più precisamente nel mancato pagamento delle ritenute operate e certificate come versate al sostituito.
Non è dunque sufficiente che il sostituto di imposta trattenga una ritenuta operata perché si configuri il reato, ma occorre che la trattenga senza versarla e certifichi al sostituito di averla versata.
Il corollario di questo principio – che costituisce la principale novità nel panorama giurisprudenziale – sta nel fatto che se la certificazione è elemento costitutivo del reato, è necessario che la pubblica accusa dia prova della sua esistenza.
Una ricaduta di non poco conto sull’accertamento del reato, dunque, poiché è onere della Procura verificare presso tutti i soggetti “sostituiti” se questi abbiano mai ricevuto la certificazione delle trattenute da parte del sostituto: non sarà dunque più sufficiente un riscontro documentale fra le ritenute dichiarate nel modello 770 e le ritenute versate (o meglio, non versate), ma occorrerà da parte del Pubblico Ministero fornire altresì la prova che ogni singola trattenuta è stata effettivamente certificata dal sostituto di imposta.
Nel caso di ritenute su redditi da lavoro dipendente, ad esempio, sarà necessario verificare che il datore di lavoro (sostituto) abbia certificato al lavoratore (sostituito) l’avvenuto versamento mediante – ad esempio – l’acquisizione del CUD: se tuttavia il datore di lavoro non avesse mai consegnato il CUD al lavoratore, in ipotesi, il reato non potrebbe ritenersi configurato, atteso che non sarebbe mai avvenuta la certificazione.
L’orientamento in esame – del tutto condivisibile – affonda peraltro le radici nei principi già enucleati dalla Sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione 37425 del 28.03.2013 che aveva già individuato l’elemento specializzante del reato nel rilascio della certificazione, con la conseguenza che la norma non trova applicazione non soltanto quando il sostituto non abbia operato le ritenute, ma anche quando questi non abbi rilasciato la certificazione, oltre che nel caso in cui abbia rilasciato la certificazione in un momento successivo alla scadenza del termine per effettuare il versamento.
Avv. Alberto Michelis